Discussione generale
Data: 
Lunedì, 29 Aprile, 2024
Nome: 
Gian Antonio Girelli

A.C. 1665

Grazie, Presidente. Indubbiamente, il dibattito attorno all'autonomia è un dibattito che caratterizza la storia del nostro Paese, mi verrebbe da dire, fin dalla nascita del Regno d'Italia, con tutta la discussione. Pensiamo a Sturzo, agli inizi del Novecento. La pausa del vergognoso ventennio fascista ci ha messo al di fuori di questi ragionamenti per poi ricominciare subito dopo nello sviluppo del ragionamento all'interno dell'Assemblea Costituente che, non a caso, ci consegnò delle indicazioni ben precise su quale fosse il ruolo delle autonomie e delle regioni nell'assetto istituzionale del nostro Paese. Poi, ad onore del vero, molta confusione abbiamo fatto legando il tema delle autonomie alla riforma della struttura istituzionale dello Stato. Pensiamo alla stagione delle bicamerali e quant'altro, a quel gran chiacchierare e a quel grande scontro senza riuscire ad affrontare i nodi veri che come Paese avremmo dovuto affrontare, cioè, in fondo, snellire lo Stato, renderlo meno pesante, meno burocratico, più vicino ai bisogni dei cittadini e ai tempi che cambiavano. Attorno a questo tema, come è già stato ricordato, sono nati i partiti quarant'anni fa e hanno avuto fortune elettorali più o meno consolidate e di sicuro da molto tempo governano molte regioni del Nord dove hanno attecchito questi metodi di approccio al tema, oltretutto generando un'anomalia abbastanza evidente. Solitamente, infatti, le pulsioni che tendono a chiedere separatezza e autonomia vengono promosse da territori poveri, deboli che si sentono da un certo punto di vista sfruttati da un apparato statale. In Italia no, questo è avvenuto al contrario, sono le regioni più ricche, più floride e con più risorse che hanno generato questo movimento. Ora noi ci troviamo ad affrontare il tema con questo atto, a dire il vero in maniera molto più pasticciata e anche molto meno seria di quanto avvenuto nei momenti storici che prima evocavo, oltretutto in un modo per lo meno bizzarro da parte della maggioranza di Governo di questo Paese, laddove noi abbiamo i colleghi di Fratelli d'Italia che ci vengono a raccontare che assolutamente non viene messo in discussione nulla.

Anzi, viene sottolineato che si ribadisce il tema dell'unità nazionale come momento indispensabile da riscoprire, quasi accusando il centrosinistra di averlo dimenticato nella riforma del Titolo V, ricordando anche una serie di aspetti del testo proposto che rassicurano da questo punto di vista.

Inoltre, i colleghi della Lega sembrano quasi aver riscoperto vecchi manifesti con galline e uova che tendono a dire: finalmente, riusciamo a fare quello che, da quarant'anni, non siamo mai riusciti a fare, ma continuiamo a chiedere. Questo, tuttavia, in maniera piuttosto maldestra, oltretutto, è anche il più vecchio partito presente in questo Parlamento e che negli ultimi sei anni è stato il gruppo politico che più di qualsiasi altro ha governato. Non dimentichiamolo mai, perché poi sembra che le colpe siano sempre di tutti, anche chi ha governato di meno.

Penso che anche plasticamente nel dibattito si evidenzi questo. Vi sembra normale che, di fronte a un provvedimento di questo genere, un solo esponente del maggior partito presente in quest'Aula sia intervenuto nel merito e non ci sia stato il bisogno di dare un apporto in più? Molto semplicemente per un aspetto, cioè credo che questo provvedimento abbia un doppio difetto e che corrisponde alla doppia lettura. Per qualcuno non succederà assolutamente nulla, perché talmente tante sono le sovrapposizioni e i contrappesi. Mi riferisco al fatto legato ai finanziamenti e al tema dei LEP, per come è stato trattato. Credo che questi ne siano l'ampia dimostrazione. Per qualcun altro, invece, basta vendere qualche slogan. Le elezioni europee sono a ridosso. Poi, del resto si parlerà, si vedrà. Di qui anche l'accelerazione perlomeno anomala del dibattito. Quando si vuole affrontare un tema così serio, quando si vogliono toccare argomenti così delicati, davvero c'è bisogno di una prova muscolare del Governo in termini di velocità nell'esame del provvedimento, in termini di superamento di ogni normale cortesia istituzionale per favorire il più possibile il dibattito?

Tuttavia, la cosa che più impressiona di tutto questo è che si parla tanto di autonomia e, dal mio punto di vista, leggendo il provvedimento stesso, si attua la negazione dell'autonomia stessa. Penso ancora una volta a come si guarda alla regione come riferimento dell'autonomia e penso alla storia delle regioni nel nostro Paese, laddove - è già stato ricordato prima dal collega Fratoianni - si è giunti persino a chiamare governatori i presidenti. Dov'è scritto che si chiamano governatori? Da nessuna parte. Non ci si accorge che, in realtà, l'unico vero processo che abbiamo generato è aver sostituito in larga parte a un centralismo statale un centralismo regionale che, sotto molti punti di vista, è più dannoso di quello statale, se non altro perché più presente, più opprimente rispetto alle vere autonomie che, a mio parere, sono i comuni. Ce lo ricordava Sturzo, lo richiamava De Gasperi. È la cultura veramente autonomista di questo Paese che non è stata studiata sui bigini della storia, come qualcuno in maniera anche molto frettolosa ha voluto fare.

Penso che il bisogno era proprio quello di prendere in mano in maniera seria il tema, di capire come strutturare un Paese complesso e diverso come il nostro, nel ricreare quei grandi motivi di unità, di obiettivi condivisi, di parità e di uguaglianza che - beato Dio - sono scritti nella nostra Carta costituzionale. L'articolo 5 ci dice ben chiaramente che cos'è l'autonomia come decentramento amministrativo per raggiungere questi obiettivi. Bisognava farlo, superando la frammentazione di un Paese sempre più evidente che riguarda il Nord e il Sud del Paese, ma riguarda le città, le aree interne e le aree montane, riguarda la spaccatura sociale legata al reddito delle famiglie e delle persone, che sempre di più ci frantuma e ci divide. È quindi il bisogno di un messaggio unitario, di ritrovare le ragioni dello stare assieme e del superare queste disparità la sfida vera che abbiamo davanti, oltretutto mettendo tutto questo in relazione con il bisogno di Europa, bisogno sempre più evidente, come ci dicono gli scenari internazionali, ma anche l'evoluzione degli aspetti economici, il tema dell'energia, della fiscalità, legata alle ricadute delle organizzazioni economiche, e della salute.

Voglio anche da questo punto di vista far notare la contraddizione che stiamo vivendo in tema di sanità. Insieme ai colleghi della XII Commissione - una Commissione che lavora anche piuttosto seriamente, indipendentemente dalle appartenenze -, abbiamo fatto non so quanti incontri con i vari mondi della sanità e non c'è stato uno di questi incontri in cui non ci sia stato chiesto con grande chiarezza il bisogno di maggior unità nazionale nell'affrontare il tema, in cui i 21 modelli territoriali, in un momento tanto drammatico, come quello rappresentato dal COVID, hanno mostrato tutta la loro fragilità e impossibilità di essere sufficientemente capaci di far fronte all'emergenza. Ma tutto questo si inserisce anche in un contesto in cui - è già stato ricordato da altri colleghi - continuiamo a vivere una disparità tra Nord e Sud, ma continuiamo anche a vedere un'involuzione del presunto efficientismo del Nord. Infatti - sono lombardo -, ci siamo spesso vantati di dire che la miglior ricetta per un cittadino meridionale è un biglietto del treno per venire nel nostro ospedale. E tutto questo lo abbiamo fatto, mettendo una marea di soldi in tutto questo, dimenticando la medicina territoriale, consegnando anche i cittadini delle regioni del Nord al dramma che il COVID ci ha ben evidenziato.

Io penso che il “no” questo modello sia un “no” di doppia ragione. Uno è di natura culturale, lo dicevo prima: c'è bisogno di unità, di solidarietà e di stare insieme. Il secondo è di natura anche molto pratica: in questo provvedimento c'è scritto tutto quello di cui non abbiamo bisogno ed è fondamentalmente falso, sia nella lettura che fa una parte della maggioranza, sia nella lettura che fa l'altra parte della maggioranza.